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Il quarto comando di Gesù per il mondo…

ottobre 28, 2009

Comando n° 4
CREDETE IN ME
Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me! (Gv 14:1).
Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se no, credete a causa di quelle opere stesse (Gv 14:11).
Mentre avete la luce, credete nella luce, affinché diventiate figli della luce (Gv 12:36).
Poi [Gesù] disse a Tommaso,«Porgi qua il dito e vedi le mie mani; porgi la mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente» (Gv 20:27).
Perché Gesù esige che crediamo in lui? E cosa significa davvero credere in lui? Il motivo per cui Gesù esige che crediamo in lui è che tutti noi esseri umani ci troviamo in una situazione disperata e solo Gesù può aiutarci a tirarci fuori. Egli esige che crediamo in lui perché non possiamo tirarci fuori da soli ma dobbiamo guardare a lui soltanto per essere aiutati. Gesù è l’unico che possa salvarci da questo pericolo. È per il nostro bene che Gesù esige la nostra fiducia in lui. È come se un vigile del fuoco ci trovi quasi privi di sensi in un edificio in fiamme, che sta per crollare, ci getti addosso la coperta isolante, ci metta sulle spalle e ci dica poi: «Stai fermo mentre ti porto. Non ti muovere. Non cercare di aiutarmi. Ti porto fuori io. Devi lasciarmi fare. Fidati di me.»
LA NOSTRA SITUAZIONE DISPERATA
Ovviamente, la maggior parte della gente non sente il bisogno dell’intervento salvifico del «pompiere» divino. Per cui, qual è questa situazione disperata dalla quale soltanto Gesù può tirarci fuori? Gesù la mette in questi termini. Notate le espressioni «perire», «giudicato» e «ira di Dio» nel brano che segue.
Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio… Chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui. (Gv 3:16-18, 36)
La situazione disperata in cui ci troviamo, dice Gesù, è che l’ira di Dio incombe su di noi. Questo dipende dal nostro peccato (si veda il Comando n° 2). Dio è giusto, e la sua ira è giustamente diretta contro gli atteggiamenti e i comportamenti umani che sminuiscono il suo valore e tendono a trattarLo come un essere insignificante. Tutti noi lo abbiamo fatto. In effetti, lo facciamo ogni giorno.
DIO HA MANDATO GESÙ A MORIRE AL NOSTRO POSTO
La cosa incredibile, però, è che Dio ha mandato suo Figlio, Gesù, in questo mondo non per appesantire questa condanna, ma per togliercela. E il modo in cui Gesù ce la toglie è prendendo su di sé la condanna stessa, morendo al nostro posto e chiedendoci poi non atti eroici di penitenza ma, piuttosto, di fidarci di lui. Gesù ha detto: «Il sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore» (Gv 10:11). In altre parole, la morte di Gesù è stata premeditata. Egli ha dato la sua vita al nostro posto intenzionalmente.
Gesù si vedeva come la realizzazione della stupefacente profezia di Isaia capitolo 53 (cfr. Lu 22:37; Is 53:12). Isaia aveva profetizzato settecento anni prima della venuta di Gesù che un Servo del Signore sarebbe venuto a morire per il suo popolo.
Noi lo ritenevamo colpito, percosso da Dio e umiliato! Egli è stato trafitto a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e grazie alle sue ferite noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo smarriti come pecore, ognuno di noi seguiva la propria via; ma il Signore ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. (Is 53:4-6)
Il motivo per cui Gesù esige che crediamo in lui è che non c’è nulla che possiamo aggiungere a ciò che Egli ha fatto per salvarci dall’ira di Dio. Gesù è diventato il nostro sostituto. I peccati che avrebbero dovuto portarci alla condanna, Dio li ha fatti ricadere su Gesù. L’amore di Dio ha pianificato uno scambio incredibile: Gesù ha sopportato quello che noi meritavamo affinché noi potessimo godere ciò che lui meritava – la vita eterna. E il modo in cui giungiamo a beneficiare di questa vita è credendo in Gesù. È questo ciò che Egli ha detto: «In verità, in verità vi dico: chi crede in me ha vita eterna» (Gv 6:47; cfr. Lu 8:12).
CHE COSA SIGNIFICA CREDERE IN GESÙ?
Quindi ci sono poche domande più importanti di questa: cosa significa davvero credere in lui? In primo luogo, significa credere che determinati avvenimenti storici siano veri. Quando Tommaso, il discepolo di Gesù, dubitò che Gesù fosse risuscitato fisicamente dai morti, Gesù andò da lui e gli disse: «Porgi qua il dito e vedi le mie mani; porgi la mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente» (Gv 20:27). Credere non è un salto nel buio. Ha invece delle fondamenta e dei contenuti. Si basa su ciò che davvero si è verificato nella storia.
Ma credere in Gesù è più che sapere delle cose vere su di lui. Significa fidarsi di lui per chi realmente Egli è: Egli è una Persona vivente. È per questo che Gesù ha detto semplicemente di credere in lui. «Abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me» (Gv 14:1; cfr. Mt 18:6). Credere in Gesù è più che credere a delle cose su di lui. Noi ci fidiamo di lui.
ESSERE SODDISFATTI DI TUTTO CIÒ CHE DIO È PER NOI IN GESÙ
Notate che Gesù si presenta a noi non soltanto come soccorritore nel quale avere fiducia ma come acqua viva da bere – per non parlare del suo presentarsi a noi come Pastore (Mt 26:31), Sposo (Mt 9:15), Tesoro (Mt 13:44), Re (Gv 18:36), eccetera. Che significa «credere in» Gesù come acqua che dà la vita?
Gesù ha detto: «Se qualcuno ha sete, venga a me e beva» (Gv 7:37). «Chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà mai più sete; anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna» (Gv 4:14). In un’altra occasione, Gesù ha collegato questo bere al credere in lui e ad andare a lui: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà mai più sete» (Gv 6:35). In altre parole, credere in Gesù e bere l’acqua che scaturisce in vita eterna sono la stessa cosa.
Credere in Gesù quando Egli si presenta a noi come acqua che dà la vita non significa semplicemente credere che quest’acqua dia la vita. L’acqua dà la vita quando la beviamo. Gesù dà la vita mediante il nostro credere in lui. Credere in Gesù come acqua, quindi, significa bere l’acqua. Cioè, significa «ricevere» Gesù e tutta la grazia vivificatrice di Dio che ci giunge in lui. «Chi riceve me, riceve colui che mi ha mandato» (Mt 10:40; cfr. Gv 13.20). Credere in Gesù include bere Gesù come acqua viva che toglie la sete dell’anima. Cioè, significa assaporare ed essere soddisfatti di tutto ciò che Dio è per noi in Gesù.
L’INADEGUATEZZA DELL’IMMAGINE DEL VIGILE DEL FUOCO
Dunque l’immagine che ho usato prima relativa al fidarsi di un vigile del fuoco è insufficiente. È vera, ma ha dei limiti. Gesù è un soccorritore. Dobbiamo stare fermi, non muoverci, permettergli di portarci al sicuro fuori dalla furiosa ira di Dio. Ma potremmo fidarci di un vigile del fuoco per il quale non abbiamo nessuna stima. Potrebbe essere un adultero e un ubriacone, nel suo tempo libero. Egli non ci chiede di credere in lui per tutto ciò che egli è, o di riceverlo, o di assaporare la sua vita. Gesù invece lo fa. È molto più di un soccorritore. Quindi credere in lui è più che fidarci delle sue capacità di soccorso.
Gesù è venuto non soltanto a salvarci dalla condanna ma anche affinché potessimo godere la vita eterna, cioè affinché potessimo sperimentare tutto ciò che Dio è per noi in lui. Egli ha detto: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17:3). Egli conosce i nostri bisogni molto meglio di noi. Abbiamo bisogno di essere salvati dall’ira di Dio, ed è per questo che Gesù è venuto. C’è un solo modo per ottenere questa salvezza: credendo in lui. Perciò questo è quanto Gesù esige dal mondo: «Credete in me».

Gesù comanda RAVVEDETEVI

ottobre 28, 2009

Comando n° 2
RAVVEDETEVI
Da quel tempo Gesù cominciò a predicare e a dire: «Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4:17).
Io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori a ravvedimento (Lu 5:32).
I Niniviti compariranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco, qui c’è più di Giona! (Mt 12:41).
Ma se non vi ravvedete, perirete tutti allo stesso modo (Lu 13:3, 5).

Il primo comando durante il ministero pubblico di Gesù era: «Ravvedetevi». Egli dava questo comando indiscriminatamente a tutti coloro che lo ascoltavano. Era un appello ad un cambiamento interiore radicale verso Dio e verso l’uomo.

COS’È IL RAVVEDIMENTO?
Due cose ci dimostrano che il ravvedimento è un cambiamento interiore della mente e del cuore piuttosto che un semplice dispiacere per il peccato o un semplice miglioramento del proprio comportamento. In primo luogo, il significato della parola greca tradotta in italiano con «ravvedersi» (metanoèō) punta in questa direzione. Questo termine si compone di due parti: meta e noèō. La seconda parte (noèō) si riferisce alla mente e ai suoi pensieri e percezioni, disposizioni e scopi. La prima parte, invece, (meta) è un prefisso che indica comunemente un movimento o un cambiamento. Considerando l’uso comune di questo prefisso,[1] possiamo dedurre che il significato basilare di ravvedersi sia di sperimentare un cambiamento nelle percezioni, nelle disposizioni e negli scopi della mente.
L’altro fattore che indica che questo è il giusto significato del verbo ravvedersi è il modo in cui Luca 3:8 descrive il rapporto tra il ravvedimento e il nuovo comportamento. Dice: «Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento». Fa poi degli esempi di questi frutti: «Chi ha due tuniche, ne faccia parte a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto» (Lu 3:11). Questo significa che il ravvedimento è ciò che accade dentro di noi. Successivamente questo cambiamento porta ai frutti di un nuovo comportamento. Compiere azioni nuove, non è questo il ravvedimento; il ravvedimento invece è il cambiamento interiore che produce i frutti delle azioni nuove. Gesù esige che sperimentiamo questo cambiamento interiore.

IL PECCATO: UN ATTACCO A DIO
Perché? La risposta è che siamo peccatori. «Io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori a ravvedimento» (Lu 5:32). Qual era la visione di Gesù del peccato? Nella parabola del figlio prodigo, Gesù descrive il peccato del figlio in questi termini: «Ha sperperato i suoi beni, vivendo dissolutamente…[e li] ha sperperati con le prostitute» (Lu 15:13, 30). Ma quando il figlio prodigo si ravvede, dice: «Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio» (Lu 15:21). Quindi, buttar via la propria vita vivendo dissolutamente e sperperando il proprio denaro con le prostitute non è soltanto deprecabile a livello umano: è un’offesa contro il cielo, cioè contro Dio. È questa la natura essenziale del peccato. È un attacco a Dio.
Lo vediamo di nuovo dal modo in cui Gesù ha insegnato ai suoi discepoli a pregare. Egli ha detto che essi avrebbero dovuto pregare dicendo: «Perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo a ogni nostro debitore» (Lu 11:4). In altri termini, i peccati che Dio ci perdona sono paragonati a quelli commessi dagli altri nei nostri confronti e che vengono chiamati debiti. Quindi, la visione che Gesù ha del peccato è che esso disonora Dio e ci rende debitori nei suoi confronti: dobbiamo pagare per aver disonorato Dio con i nostri comportamenti o atteggiamenti offensivi verso di lui per ridarGli quell’onore che abbiamo disprezzato e calpestato. Successivamente vedremo come questo debito sia stato pagato da Gesù stesso (Mr 10:45). Ma per poter godere di questo dono, Gesù dice che dobbiamo ravvederci.
Ravvedersi significa sperimentare un cambiamento della mente, tale che ci permetta di vedere Dio come vero, splendido e degno di tutta la nostra lode e di tutta la nostra obbedienza. Questo cambiamento della mente abbraccia allo stesso modo anche Gesù. Lo sappiamo dalle sue parole: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché io sono proceduto e vengo da Dio» (Gv 8:42). Vedere Dio con una nuova mente include dunque vedere Gesù con una nuova mente.
IL BISOGNO UNIVERSALE DEL RAVVEDIMENTO
Nessuno è escluso dall’invito di Gesù al ravvedimento. Egli lo disse chiaramente quando un gruppo di persone venne da lui con le notizie di due calamità. Degli innocenti erano stati uccisi nel massacro perpetrato da Pilato e di altri innocenti nella caduta della torre di Siloe (Lu 13:1-4). Gesù colse l’occasione per avvertire anche coloro che gli avevano portato queste notizie: «se non vi ravvedete, perirete tutti come loro» (Lu 13:5). In altri termini, non pensate che le calamità stiano a significare che alcuni sono peccatori bisognosi del ravvedimento ed altri no. Tutti hanno bisogno del ravvedimento. Così come tutti devono nascere di nuovo (Gv 3:7), tutti devono ravvedersi in quanto tutti sono peccatori.
Quando Gesù disse: «Io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori a ravvedimento» (Lu 5:32), non intendeva dire che alcune persone sono abbastanza buone da non aver bisogno del ravvedimento. Intendeva dire che alcuni credono di esserlo (Lu 18:9) e altri invece si sono già ravveduti e si sono messi a posto con Dio. Ad esempio, il giovane ricco voleva «giustificarsi» (Lu 10:29), mentre «il pubblicano…si batteva il petto, dicendo, “O Dio, abbi pietà di me, peccatore!” [e] questo tornò a casa sua giustificato [da Dio]» (Lu 18:13-14). (Per approfondire il brano di Luca 18:9-15, si veda il Comando n° 20.)
C’È URGENZA IN QUESTO COMANDO, PERCHÉ IL GIUDIZIO È ALLE PORTE
Nessuno, dunque, è escluso. Tutti hanno bisogno del ravvedimento. E il bisogno è urgente. Gesù disse: «se non vi ravvedete, perirete tutti come loro». Cosa intendeva dire con perirete? Intendeva dire che il giudizio finale di Dio si sarebbe abbattuto su coloro che non si sarebbero ravveduti. «I Niniviti compariranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco, qui c’è più che Giona!» (Mt 12:41). Gesù, il Figlio di Dio, avverte tutti noi del giudizio a venire e offre una via di scampo se ci ravvediamo. Se non ci ravvediamo, Gesù ha un solo messaggio per noi: «Guai a [voi]!» (Matteo 11:21).
Per questo motivo il suo comando di ravvedersi è parte integrante del suo messaggio centrale relativo al regno di Dio. Gesù predicava che il tanto atteso regno di Dio era presente nel suo ministero. «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo» (Mr 1:15). Il vangelo – la buona notizia – è che il regno di Dio è giunto in Gesù, con la sua prima venuta, per salvare i peccatori prima di arrivare, con la sua seconda venuta, per giudizio. Il comando di Gesù di ravvedersi si basa sull’offerta del suo perdono, valida oggi, e sull’avvertimento che un giorno coloro che rifiuteranno questa offerta saranno giudicati da Dio con la morte eterna; sia l’offerta che l’avvertimento si basano sulla grazia di Dio.
A TUTTE LE NAZIONI A PARTIRE DA GERUSALEMME
Dopo essere risorto dai morti, Gesù si assicurò che i suoi discepoli avrebbero continuato ad estendere l’invito al ravvedimento in tutto il mondo. Egli disse: «Così è scritto, che il Cristo avrebbe sofferto e sarebbe risorto dai morti il terzo giorno, e che nel suo nome si sarebbe predicato il ravvedimento per il perdono dei peccati a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme» (Lu 24:46-47). Perciò il comando di Gesù di ravvedersi è indirizzato a tutte le nazioni. Giunge a noi, chiunque noi siamo e ovunque noi siamo e ci sollecita. Questo è il comando di Gesù rivolto ad ogni anima: ravvediti. Cambia nell’intimo del tuo cuore. Cambia tutte le tue percezioni, le tue disposizioni e i tuoi scopi che disonorano Dio e sminuiscono Cristo, in altri che onorino Dio ed esaltino Cristo.

BISOGNA CHE NASCIATE DI NUOVO

ottobre 28, 2009

Comando n° 1

BISOGNA CHE NASCIATE DI NUOVO
Gesù rispose: «Non ti meravigliare se ti ho detto: “Bisogna che nasciate di nuovo!”» (Gv 3:5,7).
Gesù gli rispose: «In verità, in verità ti dico che se uno non nasce di nuovo non può vedere il regno di Dio» (Gv 3:3).
Nel terzo capitolo del Vangelo di Giovanni, troviamo Gesù che parla con «un uomo tra i farisei chiamato Nicodemo, uno dei capi dei Giudei» (Gv 3:1). I farisei erano esperti nelle Scritture giudaiche. Per questo Gesù si stupisce che Nicodemo si mostri perplesso di fronte alla sua affermazione «bisogna che nasciate di nuovo». Nicodemo chiede: «Come può un uomo nascere quando è già vecchio? Può egli entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e nascere?» (Gv 3:4). Gesù risponde: «Tu sei maestro d’Israele e non sai queste cose?» (Gv 3:10).

METTERÒ IN VOI UNO SPIRITO NUOVO
In altre parole, un esperto nelle Scritture giudaiche non si sarebbe dovuto mostrare perplesso dal comando di Gesù: «bisogna che nasciate di nuovo». Perché no? Perché c’erano così tanti riferimenti nelle Scritture giudaiche che Nicodemo e Gesù avevano in comune. Dio aveva promesso un giorno in cui avrebbe fatto nascere di nuovo il suo popolo. Una delle promesse più chiare di Dio è nel libro di Ezechiele. Gesù riprende le parole di Ezechiele quando dice: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato d’acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3:5). Il «nascere di nuovo» viene descritto come una nascita d’acqua e di Spirito. Questo binomio, «acqua» e «Spirito», appare in Ezechiele 36:25-27. Dio dice:
Vi aspergerò d’acqua pura e sarete puri; io vi purificherò di tutte le vostre impurità e di tutti i vostri idoli. Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra, e vi darò un cuore di carne. Metterò dentro di voi il mio spirito e farò in modo che camminerete secondo le mie leggi, e osserverete e metterete in pratica le mie prescrizioni.
Dio promette la purificazione dai peccati e il dono di uno spirito nuovo di carne dovuto alla presenza del suo Spirito divino in loro. Gesù pensa che Nicodemo avrebbe dovuto collegare il suo comando di nascere di nuovo alla promessa di Ezechiele di uno spirito nuovo e del dono dello Spirito di Dio. Ma egli non lo fa. Perciò Gesù gli spiega ulteriormente la cosa descrivendogli il ruolo dello Spirito di Dio nel suscitare questo spirito nuovo: «Quello che è nato dalla carne è carne; e quello che è nato dallo Spirito è spirito» (Gv 3:6).
I MORTI NON POSSONO VEDERE
La carne è ciò che siamo per natura. Si riferisce all’essere umano comune. Per mezzo della nostra prima nascita, siamo soltanto carne. Questa condizione umana naturale, secondo la nostra esperienza, è spiritualmente morta. Non nasciamo spiritualmente vivi con un cuore che ama Dio. Nasciamo spiritualmente morti.
È questo che intende Gesù, quando dice ad un potenziale discepolo che vuole recarsi ad un funerale: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti» (Lu 9:60). In altre parole, alcuni sono fisicamente morti e di conseguenza devono essere sepolti. Altri sono spiritualmente morti e possono occuparsi dell’altrui sepoltura. Questa verità Gesù la ribadisce quando, nella parabola del figlio prodigo, fa dire al padre: «Perché questo mio figlio era morto, ed è tornato in vita» (Lu 15:24). Ed è per questo che «se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio» (Gv 3:3). I morti non possono vedere. Cioè, non possono vedere il regno di Dio come qualcosa di grandemente desiderabile. Questo sembra sciocco, o fantomatico o noioso. Pertanto chi si trova in questa condizione «non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3:5). Non può perché gli sembra una sciocchezza.
Gesù vede tutta l’umanità divisa in due parti: coloro che sono nati una volta soltanto –«nati dalla carne» «i morti (spiritualmente)» – e coloro che sono « nati di nuovo» dallo Spirito di Dio – coloro che sono vivi per Dio e vedono il suo regno come reale e grandemente desiderabile.

IL VENTO SOFFIA DOVE VUOLE
Nicodemo non ha del tutto torto a mostrarsi perplesso. Si trova di fronte a un mistero. Gesù dice in Giovanni 3:8: «Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito». In altre parole, Gesù sta dicendo: «Nicodemo, tu hai bisogno di una nuova vita spirituale – una seconda nascita».
E ciò che Gesù richiede da Nicodemo, lo richiede da tutti. Egli si rivolge a tutti gli abitanti della terra. Nessuno è escluso. Nessun gruppo etnico ha una maggiore predisposizione alla vita. Il morto è morto – quale che sia il colore, l’etnia, la cultura o la classe sociale. Abbiamo bisogno di occhi spirituali. La nostra prima nascita non ci permetterà l’accesso al regno di Dio. Ma non possiamo nascere di nuovo da noi stessi. Ci pensa lo Spirito Santo. E lo Spirito Santo è libero e soffia in maniera a noi incomprensibile. Dobbiamo nascere di nuovo. E questo è un dono di Dio.
Distogli lo sguardo da te stesso. Solo Dio può darti ciò che tu cerchi. Tu non hai bisogno di migliorare il tuo vecchio IO. Tutti gli abitanti del mondo hanno bisogno di una vita nuova. È una cosa radicale e sovrannaturale. È al di fuori del nostro controllo. I morti non riescono a dare a sé stessi una vita nuova. Dobbiamo nascere di nuovo – «non… da volontà di carne, né da volontà d’uomo, ma […] da Dio» (Gv 1:13). È questo che Gesù esige dal mondo.

Padre Pio, l’altro Cristo?

ottobre 15, 2009

Alessandro Iovino, Padre Pio: L’Altro Cristo?, Firenze: MEF- L’Autore Libri, 2009, 69 pagine.

Questo libricino, molto compatto, non è una biografia di Padre Pio o una critica della sua vita o delle sue affermazioni. Il sottotitolo di questo libro ci spiega quali siano le intenzioni dell’autore, collaboratore del CESNUR di Torino, nello scrivere questo libro. Il sottotitolo è «Il Culto del Frate di Pietrelcina. Deviazioni Dottrinali e Pericoli Spirituali». Giunto ormai alla sua seconda edizione, questo libro si propone di rifocalizzare l’attenzione dei suoi lettori italiani sul primato di Cristo.
In una breve nota introduttiva, a pagina 9 l’autore parla del fatto che una domenica di Pasqua, giorno in cui i cattolici romani dovrebbero ricordare la risurrezione del Cristo, alcuni di loro dibattevano «sull’importanza o meno della riesumazione e sull’opportunità di esporre il corpo di Padre Pio per mostrarlo ai devoti». L’autore in quella occasione si trovò a domandarsi come mai quei cattolici si dimenticassero di Cristo e si ricordassero di Padre Pio. Da questi interrogativi e da alcune ricerche dell’autore, studioso di storia e di sociologia, è nato questo testo che cerca di porre degli interrogativi di natura spirituale, al fine di essere un «nuovo ed efficace mezzo per poter consentire delle riflessioni su degli aspetti più squisitamente spirituali che interessano milioni di fedeli a cui andrebbero evidenziati concetti che sono l’essenza stessa del Cristianesimo» (dall’Introduzione, pagina 11). Non è un testo che ha fini di sterili polemica o di creare dibattiti fra varie confessioni. L’autore cerca di «fare esplicito e diretto riferimento alla Sacra Bibbia e di evidenziare degli aspetti che riguardano il cattolico quanto l’evangelico, l’ortodosso quanto il pentecostale, e di dimostrare le enormi e pericolose deviazioni spirituali che caratterizzano il culto di Padre Pio» (pagina 12).
A questi fini, il libro è composto di 5 capitoletti. Il primo si intitola «La salvezza dell’anima: Cristo unico intercessore», il secondo «Fede in Dio e in nessun altro», il terzo «Guarigioni e miracoli: le manifestazioni della misericordia di Dio», il quarto «Il culto di padre Pio: pericoli e tendenze» e l’ultimo capitolo «Riesumazione della salma: tra idolatria e strumentalizzazione mediatica». Segue un appendice che si intitola «La via per eccellenza», con chiari riferimenti al capitolo 13 della prima epistola di Paolo ai Corinti.
Cosa dire di questo libro? A livello di contenuti, nulla da eccepire. Il libro è fedele sia alla Bibbia sia ai fatti accaduti, in un passato più o meno recente, nell’ambito della devozione (popolare e non) a colui che, nel tempo, è diventato conosciutissimo e amato a livello nazionale. Forse il limite di questo libro sta nello stile, sin troppo discorsivo, talvolta, pur dicendo cose validissime, si tende a saltare di palla in frasca e per alcuni lettori potrebbe essere facile perdere il filo del discorso.
Detto questo, dato che il libro è breve e dato che parla di tematiche importantissime, vale la pena acquistarlo oppure farselo prestare da qualcuno che l’ha già acquistato.

Andrea Diprose

la mia storia

ottobre 7, 2009

Non solo Salvatore ma anche Signore…

Mi chiamo Andrew e, al momento , ho quarant’anni. Sono nato in una famiglia di missionari evangelici, ma questo non mi ha garantito nulla davanti a Dio. Infatti anche io ero e sono un peccatore. All’età di otto anni circa visitai una chiesa evangelica in Roma, assieme ai miei genitori. C’era una giovane donna che parlava ai bambini presenti e ci spiegò che non si può evitare il giudizio di Dio tramite le nostre buone opere ma soltanto tramite l’opera di Gesù che è morto sulla croce per noi. Ascoltando ciò accettai il dono della salvezza per mezzo di Gesù, sapendo che Egli era morto sulla croce per tutte le persone e… quindi anche per me.

Crescendo però ne combinai di tutti i colori. Non avevo ancora capito che, pur essendo la salvezza per grazia di Dio mediante la fede in Cristo, il nostro divin Maestro richiedeva anche l’ubbidienza. Infatti, nell’Evangelo di Matteo al capitolo 7 leggiamo non chiunque dirà “Signore, Signore” entrerà nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontà di Dio. Non basta dire “IO CREDO”, bisogna anche seguire le orme di Cristo, ubbidendo ai Suoi comandamenti. Gesù infatti ha detto: “Chi mi ama osserva i miei comandamenti”.

Così ci volle l’insegnamento di un’altra donna (ora mia sorella in Cristo) di nome Elda, per farmi capire che Gesù oltre ad essere Salvatore deve essere anche “il Signore” della nostra vita. Finalmente avendo capito questo, verso i quindici anni, cominciai a vivere veramente per Cristo ed a sedici anni iniziai a testimoniare della mia fede a scuola e per le strade del mio paese.

Oggi risiedo a Roma dove insieme a mia moglie svolgiamo un lavoro cristiano e proprio attraverso di esso (e grazie all’aiuto divino) cerchiamo di essere di buona testimonianza nel parlare e nell’agire sia verso gli italiani sia verso gli stranieri in Italia. Abbiamo potuto raggiungere centinaia di Italiani e di stranieri (in particolar modo gente del Bangladesh) parlando della nostra fede e attraverso la distribuzione di opuscoli che invitano ad accettare la salvezza ottenibile solo grazie all’opera compiuta da Gesù, il Messia.

Caro amico lettore, se oggi ancora non hai fatto la meravigliosa esperienza della “salvezza”, ti invito a farla; riconosci il tuo stato di peccatore e accetta Gesù che è morto sulla croce per salvarti. Chiedi a Dio di perdonare i tuoi peccati in virtù del sacrificio di Cristo e chiediGLi di diventare il Maestro e consigliere della tua vita, seguendoLo giorno dopo giorno.

Andrew D